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Cofano
1220-1225
legno di noce verniciato; rame sbalzato, cesellato, traforato, stampato, inciso e dorato; smalto champlevé; tela di canapa grigia
402
Altezza: 38 cm, Larghezza: 82 cm, Profondità: 34,5 cm
Figure mostruose; scene cortesi; scene di lavori contadini; combattimenti con animali
fabbrica di Vinovo
cassa lignea con medaglioni limosini appartenuto al cardinale Guala Bicchieri
Durante i lavori di restauro della chiesa di Sant'Andrea di Vercelli, coordinati tra il 1822 e il 1824 da Carlo Emanuele Arborio Mella, tornò alla luce, murato sulla parete sinistra del presbiterio, il cofano che custodiva i resti del fondatore del complesso abbaziale, il cardinale Guala Bicchieri (Vercelli, ca. 1160 - Roma, 1227).

Alla figura colta e cosmopolita del cardinale Guala Bicchieri spetta un ruolo di primo piano nella diffusione in Piemonte delle esperienze gotiche maturate oltralpe. Nato verso la metà del XII secolo da un'illustre famiglia vercellese, nel 1205 è creato cardinale da papa Innocenzo III e inviato come legato papale per importanti missioni politico-diplomatiche: egli trattò con il re di Francia Filippo Augusto, il re d'Inghilterra Giovanni Senza Terra e l'imperatore Federico II di Svevia. Alla morte di Giovanni Senza Terra diventa reggente d'Inghilterra per la minore età di Enrico III, e combatte per conciliare la corona con la nobiltà ribelle fino alla ratifica della celebre Magna Carta. Dal 1208 al 1218 è più volte in Francia: la frequentazione della raffinata corte capetingia, all'avanguardia sul fronte dell'innovazione artistica, indirizza il suo gusto verso il nuovo linguaggio volto a recuperare il naturalismo della tradizione classica. Nel 1216 si reca come inviato pontificio in Inghilterra, dove assumerà per due anni la reggenza del regno plantageneta. Le rendite ricavate dalla missione gli consentiranno di fondare al suo ritorno, nel 1219, l'abbazia di Vercelli, trasformando la città in una capitale gotica aggiornata sulle grandi novità figurative sperimentate in Francia e Inghilterra. All'abbazia, per la cui costruzione saranno chiamati un architetto nordico e scultori francesi, Bicchieri destinerà con legato testamentario la sua ricca collezione di oreficerie, arredi liturgici e manoscritti e la sua biblioteca. Lo stesso anno si trasferisce a Roma, chiamato dal nuovo pontefice Onorio III. L'ultima missione di rilievo del cardinale sarà in Campania nel 1225, due anni prima di morire, per incontrare l'imperatore Federico II. Morto a Roma, fu sepolto in un primo momento in San Giovanni Laterano, o nella chiesa di San Martino ai Monti, di cui era titolare; in seguito le sue spoglie furono traslate nell'abbazia vercellese, alla quale aveva destinato con legato testamentario la ricca collezione di oreficerie, arredi liturgici e manoscritti che il cardinale aveva raccolto nel corso dei suoi viaggi nell'Europa settentrionale.

Questo oggetto di eccezionale bellezza, acquisto recente del Museo, faceva parte del tesoro, all'interno del quale i documenti attestano un centinaio di manufatti usciti dalle botteghe orafe di Limoges, famose nel medioevo per la produzione di smalti champlevés, ottenuti con polvere di vetro colorato fuso al massimo calore in alveoli di rame. La decorazione del cofano ne offre un esempio di altissima qualità, che accosta tipologie e motivi ornamentali derivati da modelli romanici ad altri di assoluta novità, resi con un'attenzione naturalistica tipica ormai della sensibilità gotica.

Il cardinale aveva avuto modo di conoscere direttamente questo genere di produzione limosina verso il 1198, in occasione della visita all'abbazia di Grandmont. Il cofano, utilizzato da Guala Bicchieri come scrigno e baule da viaggio, fu realizzato verso il 1220-1225. II manufatto giunto ai nostri giorni risente dell’intervento di restauro condotto dal Mella nel 1824, epoca cui risalgono la cassa lignea, i tondi lisci in ottone sul coperchio, le borchie in ottone attorno ai medaglioni duecenteschi e le due maniglie in ferro sui fianchi; la placchetta in forma di scudo con leone rampante in smalto blu che appare sul coperchio è di epoca medievale ma non appartiene al decoro originario del cofano.

La tipologia cui appartiene il cofano ha radici antiche, nella produzione delle botteghe orafe di Conques e Limoges dell’inizio del XII secolo. Il fronte presenta sette medaglioni con aquile, piccoli leoni, pesci e draghi realizzati in rame lavorato a sbalzo, traforato, cesellato, inciso a bulino e dorato, con occhi costituiti da paste vitree blu scuro; il bordo è in smalto champlevé blu, turchese e bianco, con racemi in rame dorato reservé. Le borchie che circondano i tondi si devono ricondurre all’intervento di rimaneggiamento del 1824 ma riproducono un modulo decorativo già presente sul cofano duecentesco. Elementi come la regolare disposizione dei medaglioni in smalto champlevé sulle diverse facce dell’oggetto (dieci sul fronte, cinque rispettivamente sui due lati), i chiodi in ottone che circondano ciascuna formella, le staffe e i cantonali con decoro vegetale, la serratura con moraglioni a forma di rettile schiacciato e i soggetti iconografici profani, si trovano già in alcuni cofanetti realizzati a Conques, Silos (Castiglia) e Limoges tra il 1110 e il 1190, a partire dal celebre cofanetto dell’abate Boniface di Conques (Conques, tesoro dell’abbazia di Sainte-Foy, 1110-1130). Il bestiario fantastico dei medaglioni di Guala, con combattimenti tra animali entro una vegetazione a tralci, è di origine romanica e si riallaccia ai soggetti zoomorfi dei medaglioni realizzati a Conques e Limoges nel corso del XII secolo.

La serratura in rame sbalzato, traforato, inciso e dorato, raffigura due creature ibride, degli uomini-aquila – con volto e torso maschile e parte inferiore del corpo piumata, con zampe d’uccello – che si affrontano con clave e scudi bombati; le code di questi due esseri terminano con fioroni esotici a tre petali, le cosiddette palmettes-fleurs, un motivo ornamentale proprio del gôut plantagenêt, cioè il gusto raffinato della corte dei sovrani Plantageneti, che nel Medioevo, dopo il matrimonio di Eleonora d’Aquitania con Enrico II Plantageneto nel 1154, esercitarono il loro dominio sulla regione dell’Aquitania nel sud-ovest della Francia, entro i cui confini si trovavano sia Conques che Limoges. Il finissimo lavoro d’incisione sui corpi di queste creature – a evocare la presenza di una tunichetta con scollo rotondo, sottile e molto aderente – e la morbida torsione dei corpi fanno di quest’opera di microscultura un capolavoro dello “stile 1200”, il linguaggio sviluppatosi all’inizio del XIII secolo e caratterizzato, in scultura e in oreficeria, dallo studio e dalla ripresa di modelli classici e carolingi.

Gli otto medaglioni posti sui fianchi del cofano, quattro per parte, sono stati realizzati secondo un procedimento tecnico in uso a Limoges dai primi anni del Duecento, diverso rispetto a quello impiegato sui tondi del fronte: lo smalto champlevé è utilizzato esclusivamente per i fondi, mentre le figure umane e gli animali sono in rame dorato reservé inciso a bulino, una tecnica che permetteva all’artista di essere più particolareggiato, descrittivo e aderente al reale aspetto di cose, animali e persone. Le otto scene rappresentano rispettivamente: un uomo armato che combatte un leone, un cavaliere e una dama che si abbracciano, una dama che saluta un cavaliere già montato a cavallo, un uomo che uccide un grosso agnello o ariete (fianco sinistro del cofano); un falconiere a cavallo, due scene di combattimento di cavalieri a piedi e un cacciatore di lepri (fianco destro). Accanto a scene tradizionali come i combattimenti con gli animali, ereditate da modelli romanici, si incontrano sia soggetti iconografici nuovi, legati al tema dell’amor cortese e alla poesia trobadorica – particolarmente apprezzata presso la corte d’Aquitania all’inizio del Duecento – sia soggetti ancora dettati dall’attenzione nuova, tipica del linguaggio gotico nascente, per il mondo naturale: ad esempio le scene, quasi riprese dal vero, del cacciatore di lepri che porta sulle spalle la trappola di legno e i bastoni che gli sono appena serviti per catturare e uccidere la lepre che tiene nella mano sinistra, o quella del falconiere a cavallo, con descrizione precisa di sella, sottopancia e staffe. I medaglioni di questa seconda tipologia sono piuttosto rari: restano soltanto le serie superstiti sul cofanetto del Museo Leone di Vercelli del 1220-1225, sulla custodia ottagonale della reliquia della corona di spine del Tesoro della cattedrale di Namur del 1200 circa, sul cofanetto di San Luigi del Louvre datato al 1234-1237, sul cofano della cattedrale di Aquisgrana del 1258 e su un gruppo di dodici medaglioni provenienti da una cassetta perduta, oggi conservati al Metropolitan Museum di New York datati al 1240-1260.

Un discorso a parte merita il decoro “minore” del cofano, costituito da staffe e cantonali. Le staffe sono di due tipi: il primo, più curato, con base semicircolare blu a girali reservé, tondo centrale con astro bianco a otto petali su fondo turchese e parte terminale a tre punte, con striature di smalto blu e turchese. Per questo tipo, è significativo l’impiego di due procedimenti tecnici diversi: mentre la base semicircolare presenta dei girali in rame risparmiato su fondo blu – una tecnica in uso a Limoges solo a partire dai primi anni del Duecento – nella parte terminale, gigliata, venature in smalto blu staccano sul metallo dorato, secondo la tecnica tradizionale del XII secolo. Questo particolare è abbastanza significativo per precisare la cronologia del cofano, dal momento che la compresenza delle due tecniche si incontra su manufatti datati attorno al 1210-1220.
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